di MARCO BRANDO
ANALFABETISMO
ANALFABETISMO
Il Sud che non sapeva leggere e scrivere
oggi non sa navigare su Internet
« I Comuni più poveri - cioè quasi tutti quelli dell'Italia meridionale... - non possedevano i mezzi per le costruzioni ( di scuole) che erano favorite dai sussidi governativi; in conseguenza, i Comuni più benestanti dell'Italia settentrionale avrebbero inghiottito i fondi che si voleva far credere sarebbero serviti a costruire scuole contro l'analfabetismo in tutta l'Italia: una nuova iniquità si accumulava sulle antiche » . Sono parole scritte nel 1955 da Gaetano Salvemini ( Molfetta 1873 - Sorrento 1957) - politico e storico, uno dei padri del liberalsocialismo - nella prefazione del volume dedicato ai suoi Scritti sulla questione meridionale , pubblicati allora da Einaudi.Quelle parole - che si riferivano agli interventi governativi del 1910 - vengono in mente leggendo che Bari è oggi al terzo posto, tra le grandi città italiane, per numero di analfabeti, preceduta solo da Catania e da Palermo. La notizia è stata fornita l'altro ieri dal professor Saverio Avveduto, presidente dell'Unione nazionale per la lotta all'analfabetismo. L'indagine ha messo in evidenza che in Italia ci sono 2 milioni di analfabeti veri e propri ( per lo più anziani) e quasi 36 milioni di persone, il 66% della popolazione, senza titolo di studio o con la sola licenza elementare. Con dati più preoccupanti al Sud. Nella classifica la Puglia è, col 10%, al quarto posto tra le regioni più « analfabete » , preceduta da Calabria, Molise e Sicilia.Fatto sta che Salvemini, nella prefazione, contribuì a ricordare che l'analfabetismo, dall'Unità d'Italia, è stato uno dei fattori che ha segnato il divario tra Nord e Sud. Il primo censimento del Regno d'Italia, svolto nel 1861 su una popolazione di poco meno di 22 milioni d'abitanti, contava la media nazionale del 78% di analfabeti, quasi il 90% nel Sud. Nello stesso periodo nei Paesi anglosassoni gli analfabeti erano in media il 20 per cento. In Italia l'analfabetismo calò al 21% nel 1931 ( in quell'anno era superiore al 38% nel Mezzogiorno), al 13% nel 1951 ( 28% nel Sud). Nel 1961, a un secolo dall'unificazione del Paese, gli analfabeti erano l' 8,4%, ma più del 15% nel Mezzogiorno; e, a livello nazionale, il 6,6% dei maschi e il 10,1% delle femmine. I decenni successivi avvicinarono l'Italia alla situazione dell'Europa continentale: nel 1971 la percentuale era scesa al 5,2 e nel 1981 al 3,1, anche perché riguardava soprattutto la popolazione più anziana.
Per altro su un fronte non meno preoccupante, quello dell'alfabetizzazione informatica, oggi il nostro Paese può vantare, si fa per dire, percentuali simili - incluso il divario tra Nord e Sud - a quelle che quasi un secolo fa sottolineavano la distanza tra Italia e Paesi europei più sviluppati. Tanto è vero che l'analfabetismo informatico riguarda quasi due terzi degli italiani, contro un terzo degli altri Paesi sviluppati: la diffusione dell'accesso ad Internet in Italia è relegata ( Cnel, 2004) al 28,5% della popolazione, mentre si registra il 60% in Germania, il 54% in Gran Bretagna, il 43% in Francia, il 68% negli Stati Uniti. Inoltre c'è, appunto, una differenza interna all'Italia: la penetrazione più elevata della rete si rileva in Liguria ( 36,7 per cento), seguita dalla Lombardia ( 36,4), mentre il Sud è in fondo alla classifica con Puglia ( 25,2), Sicilia ( 18,7), Basilicata e Calabria ( 17,8).
Fenomeni con alcune analogie, dunque. Salvemini nel 1955 contribuì a ricordare che la battaglia oggi non ancora vinta sul fronte dell'alfabetizzazione « normale » , è stata all'inizio del Novecento una guerra campale, combattuta anche sul confine tra progressismo e conservatorismo. Nella prefazione a quel volume si può intravedere una delle cause storiche del ritardo che il Mezzogiorno ancora patisce. Cause che trovarono linfa pure nella diffidenza verso il Meridione: lo storico molfettese la percepiva persino nel padre del socialismo italiano, Turati. « Una esperienza mi riuscì più penosa di qualunque altra » , scriveva Salvemini nel 1955. « Eravamo nel 1910. Il Parlamento doveva discutere la legge cosiddetta Daneo- Credaro, che, si diceva, mirava a combattere l'analfabetismo, specialmente nell'Italia meridionale. Mi frequentava Giuseppe Donati, studente universitario a Firenze e democratico- cristiano fervente… Gli detti da studiare quali effetti avrebbe avuto quella legge nell'Italia meridionale » .Poi: « Donati mi portò le conclusioni, perfettamente documentate, del suo studio. La legge combatteva non l'analfabetismo, ma la fame dei maestri; e quello certo era bene. Ma metteva a carico del Governo centrale gli aumenti di stipendio ai vecchi maestri e gli stipendi interi dei nuovi: ora, sic come il maggior numero di maestri si trovava nell'Italia settentrionale, ne conseguiva che i pastori della Sardegna, i zolfatari della Sicilia e i braccianti delle Puglie, che avevano maestri in scarsa quantità o non ne avevano affatto, avrebbero pagato gli aumenti e i nuovi stipendi dei maestri che lavoravano nelle scuole dell'Italia settentrionale; bene inteso che, anche qui, le città, meglio attrezzate, inghiottivano bocconi più abbondanti che i Comuni rurali meno ricchi di scuole.La legge, inoltre, aumentava i sussidi governativi per la costruzione dei nuovi edifici scolastici, ma lasciava sempre a carico dei Comuni una parte della spesa » . Con le conseguenze deleterie sui « Comuni più poveri, cioè quasi tutti quelli dell'Italia meridionale » , richiamate all'inizio.« Quando ebbi preso in esame e controllato i dati raccolti da Donati - riportò Salvemini - andai a Milano a spiegare che bisognava riformare la legge, se si voleva combattere seriamente l'analfabetismo nell'Italia meridionale. Fiasco su tutta la linea! Mi stavano ad ascoltare dissimulando per cortesia fino a che punto li seccavo, e non assumevano impegni di verun genere. In una riunione all'Umanitaria, alla quale intervenne anche il direttore generale dell'Istruzione elementare, Camillo Corradini, cercai di far capire ragione: ben presto mi resi conto che nessuno badava a me, e non feci più perdere tempo a nessuno. La legge Daneo- Credaro rappresentava un vantaggio notevole per i maestri elementari che stavano nei collegi del Nord. Perché dovevano i socialisti del Nord interessarsi di stipendi ed edifici scolastici del Sud, cioè fuori del Nord? » .Cosicché, col varo del suffragio universale nel 1911 ( andarono alle urne anche gli analfabeti: i maschi; per votare le donne dovranno attendere ancora più di un trentennio) Salvemini giunse alla conclusione che « in questa nuova fase della vita nazionale, i socialisti meridionali dovevano far tutto da sé e non impetrare nessuna elemosina di benevolenza dai socialisti settentrionali » : « Avevo perduto ogni speranza di interessare i socialisti del Nord a nessun problema di giustizia che interessasse le classi lavoratrici meridionali » . Risultato: lasciò il Partito socialista.
Di certo, all'epoca Salvemini segnalò i lacci e lacciuoli, politici e culturali, che ritardarono anche l'alfabetizzazione del Mezzogiorno. Oggi ci sono ancora vincoli che frenano lo sviluppo. « Quando sarà la maggior parte delle persone, e non una ristretta cerchia, a cercare e sfruttare le informazioni messe in rete, allora potremo dire che il cervello di Internet avrà iniziato davvero a funzionare » . Lo ha sostenuto Paolo Zocchi, presidente dell'associazione « Una Rete » ( www. unarete. org) e autore del libro Internet, una democrazia possibile ( Guerini e Associati). Vi spiega che l'ostacolo principale alla diffusione di Internet, nello stesso Sud Italia, non è tanto l'estensione delle infrastrutture di connessione e neanche il gap dell'alfabetizzazione informatica ( facilmente superabile): lo scoglio vero è l' « alfabetizzazione sociale » , la propensione delle persone alla ricerca di conoscenza. Oggi, infatti, il 73% cento degli italiani accede ad Internet soltanto per scaricare la posta elettronica (o per scrivere e scaricare pensierini legati alla propria frustrazione). Come avere un'automobile e usare solo la prima marcia.
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