giovedì 17 gennaio 2008

La fede, la laicità, la tolleranza e l'intolleranza.

Alla riscossa, stupidi, chè i fiumi sono in piena: potete stare a galla. FRANCO BATTIATO


Quando il Papa Benedetto XV condannò la prima guerra mondiale (“apparisce sempre più come una inutile strage”), un manipolo di massoni si accalcò in Piazza San Pietro al grido di: “Satana regna in Vaticano”. La contestazione era a priori; contestavano ciò che il Papa aveva detto, solo perché era il Papa, solo perché esisteva. Ad oggi, data la protesta contro la visita di Benedetto XVI a La Sapienza, ex luogo di cultura e studio fondato da Bonifacio VIII nel 1303 e ridotto a spelonca di manigoldi, dei collettivi di sinistra degli studenti (quegli stessi studenti la cui voglia di studiare diminuisce di giorno in giorno) e di 67 asini - professori, le cose appaiono immutate. E ci dimostrano che il ’68, cesura della storia contemporanea, con i suoi eccessi, i suoi slanci dogmatici, in Italia, non è mai finito.
Voltaire, maestro della tolleranza, era un mercante di schiavi: metafora della doppia faccia dell’Illuminismo, a parole “tollerante” ma de facto intollerante. Lo pseudo volterriano “non condivido le tue idee, ma sono pronto a dare la vita perché tu le possa esprimere” è così diventato, se si parla di papi e cristianità, “non condivido le tue idee, ma, purchè non sia cattolico, sono pronto a dare la vita perché tu le possa esprimere”. Nessuno si può bere la balla che la censura sia avvenuta, come ha detto uno dei 67 asini, perché il Papa è un capo di Stato: la censura ci è stata perché il Papa è cattolico. Perché oggi la dittatura del politicamente corretto ha privato di libertà di parola i cattolici. Michelle Bachelet, capo di stato cileno, ha inaugurato l’anno accademico a Roma Tre e logicamente nessuno si è mai sognato di contestarla. Così nessuno ha mai contestato le lauree ad honorem impartite a menagrami digiuni di qualsivoglia nozione culturale (meno che mai scientifica) del calibro di Vasco Rossi e Valentino Rossi.
La laicità, l’essere laico, non è sinonimo di ateismo. Laico è chi non ha ricevuto l’ordinatio in sacris; la laicità, storicamente, nasce cristiana, nasce dai papi ed è l’indipendenza dei primi cristiani dall’imperatore e dal culto che di lui si faceva. Codesti studenti e professori asini si reclamano laici, ergo tolleranti e forse pluralisti, ma non lo possono essere perché sono annebbiati dal laicismo più gretto, più basso, più fumoso. Oggi costoro dimostrano che non esiste l’etica laica, la morale laica, la cultura laica, se un solo pensatore “laico”, uno solo, non ha preso le distanze da codesti estremisti. La cultura laica, meglio laicista, si serve solo della contrapposizione frontale e strumentale di ciò che scrive o dice la Chiesa, si appoggia all’ateismo da salotto, galleggia sui fiumi in piena, si nutre di ingannevole Spirito del Tempo: siamo ridotti alla lectio magistralis di Andrea Rivera (chi è costui?), ai sermoni di Dario Fo, ai predicozzi di Piergiorgio Odifreddi, la cui unica e sola Weltanschauung è dire il contrario di quello che afferma il Papa.
Giacchè per lo più questi nerboruti vetero sessantottardi fuori tempo massimo non hanno una benché minima nozione di filosofia e scienza in testa, non sapranno che il loro ideale di “libero pensatore”, tirato appositamente fuori dal cilindro scientista per l’occasione, ovverosia Galileo Galilei, era cattolico osservante, credeva nell’Eucarestia ed era devoto alle gerarchie ecclesiastiche. Peraltro, senza scomodare il più modesto contemporaneo Antonino Zichichi, egli dimostrò la perfetta conciliabilità tra scienza e fede (“l’una ci dice come si va in cielo, l’altra come va il cielo”). Galileo, inoltre, soleva definire “piccionaia” i suoi colleghi che reclamavano la laicità della conoscenza (dal nome del loro mentore Ludovico delle Colombe).
Alla protesta di questi studenti, come abbiamo già scritto, si è unita la protesta di guareschiani trinariciuti professori di fisica (c’è da metterci la mano sul fuoco che dietro di loro vi sia la longa manus massonica): ma come, egregi e sommi professori, un uomo di cultura, un filosofo citato in tutti i manuali di filosofia, il più grande teologo vivente, Joseph Ratzinger, tiene una lectio magistralis nel luogo proprio della cultura, delle teorie, della scienza, delle astrazioni, e voi volete impedirla e tappargli la bocca perché la Chiesa, nel ‘600, costrinse Galilei alla recita quotidiana del salmo 23? Siete intolleranti e ricordate quei professori che in forme plebiscitarie, nel 1931, giurarono fedeltà al regime fascista: cos’è impedire o voler impedire una lezione di un uomo solo perché non ha le stesse proprie idee? È fascismo e tornano in mente le parole del grande storico Renzo De Felice: “il più grande danno del fascismo è stato di aver contagiato l’antifascismo di fascismo”.
Il vero fanatismo, ad oggi, non è cattolico, ma laicista. Ed è un fanatismo in malafede (basti leggere i suoi slogan) perché i 67 asini sostengono che il cardinal Ratzinger abbia detto che “il processo a Galileo fu giusto”. Ma il cardinal Ratzinger, in una conferenza alla stessa Sapienza (gli era ancora permesso mettervici piede nel 1990), citava Paul Karl Feyerabend (1924 – 1994), filosofo della scienza noto per il suo negare l'esistenza di regole metodologiche universali, e lo confutava per difendere Galileo. Secondo Feyerabend il processo a Galileo era metodologicamente corretto, perché, occupandosi proprio del metodo scientifico galileiano, citava Galileo come modello di scienziato che non ha rispettato il suo stesso metodo quando si è trattato di difendere l’ipotesi geocentrica (ricordiamo che Galileo non portò prove a sostegno della sua tesi e dovette ricorrere a forzature per difenderla). Ratzinger definiva Feyerabend “filosofo agnostico scettico” e lo usava come “caso sintomatico che evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica” e per avvertire i fedeli di come “sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande”.
L’università è nata cristiana; monaci amanuensi, preti, uomini di Dio le hanno conservate ed hanno conservato le loro biblioteche con i loro volumi. Lì è stato custodito il sapere universale, l’universitas. Poveri noi, studenti romani, se oggi siamo ridotti a sentire che “il Papa è contro l’università”, che “il sapere non ha bisogni di preti e di padri”, che “la scienza è laica”. Il Papa non può mettere piede in territorio italiano (e a Roma, la capitale del Cattolicesimo e sua diocesi): questa sarà una vittoria della laicità, dei laici, degli intellettuali a favore dei Di.co. e dell’aborto che piegano tutto il loro pensiero all’opportunità politica di turno. Sì, di quella stessa laicità arrogante, faziosa, opportunista, anticlericale contro cui, oggi, è primario combattere “la buona battaglia”.
Gabriele Vecchione


Un Pontefice decisamente anti-illuminista

Che la questione laica sia tornata di attualità nell’Italia d’oggi ce lo ricordano quanti tendono ad affermare il pensiero e l’azione che chiamo “neo-tradizionalista”. In particolare ce lo ha ricordato Benedetto XVI con gli interventi in terra tedesca con i quali è stata ribadita l’ortodossia della Chiesa, tante volte enunciata in precedenza anche dal cardinale Ratzinger come responsabile della Congregazione per la dottrina della fede.
La polemica del Pontefice che si intensifica ogni giorno di più (ad esempio a Verona ha proclamato il suo “no a leggi che aiutano l’amore debole e deviato”) è indirizzata all’Occidente che oggi escluderebbe dall’orizzonte della ragione l’ipotesi di Dio e lo relegherebbe ad un’opzione privata. Di conseguenza il laicismo occidentale, definito dal Papa “dissacratore”, spaventerebbe le altre culture, compresa l’islamica. L’Occidente secolarizzato sarebbe malato di relativismo e di nichilismo e perciò sarebbe “cinico, utilitarista e arido nell’idolatria della scienza e della tecnica”. Così al cuore del pensiero del Pontefice, niente affatto approssimativo e banale, c’è l’idea che la malattia mortale dell’Occidente è rappresentata dalla modernità e secolarizzazione, da quella rivoluzione illuministica e umanistica, base della nostra civiltà, che è all’origine della divisione tra politica e religione e tra scienza e fede.
Tali osservazioni non sono una caricatura della dottrina cattolica, ma riproducono letteralmente le argomentazioni espresse a più riprese dal Pontefice. A me, dunque, pare che la caricatura della modernità sia quella disegnata da papa Ratzinger quando parla della scienza e della medicina moderne come portatrici di irresponsabili sciagure per l’uomo moderno e quando rappresenta in maniera apocalittica l’Occidente laico che calpesterebbe la vita umana, esalterebbe il libertinaggio ed avrebbe perduto ogni dimensione etica che può essere riconquistata solo reintroducendo nella vita pubblica la religione.
E’ questa, in sostanza, la ragione che mi fa dire che “la questione laica” non è stata riproposta artificiosamente dai laici, magari sul presupposto di una, per così dire, “vecchia cultura ottocentesca”, ma è stata provocata dall’incalzante offensiva neotradizionalista. Un’offensiva che fa perno sull’identificazione dell’etica con la religione cattolica da cui consegue la pretesa della Chiesa quale depositaria della verità religiosa di rappresentare l’unica agenzia che detiene il monopolio etico capace di supplire alla cosiddetta “crisi della modernità”.
Il Pontefice e quanti lo seguono, in sostanza, ribadiscono l’antica ortodossia cattolica (che a me pare smentisca anche la portata del Concilio Vaticano II), secondo cui “Extra ecclesiam nulla salus”. Dunque, i responsabili della presunta crisi etica in Occidente sarebbero i secolarizzatori, i relativisti, i seminatori di dubbi e di cattivi costumi.

Ortodossia ecclesiastica e offensiva neo-tradizionalista

Qualcuno potrebbe osservare che il Pontefice ha poco a che fare con la questione laica, oggi in Italia. E che il Papa non fa altro che il suo mestiere nel ribadire con forza la verità incarnata dalla Chiesa cattolica e indirizzata in forma apostolica al popolo dei credenti, in Italia e nel mondo.
L’osservazione sarebbe pertinente se non si riflettesse sulla realtà che da qualche tempo domina la scena pubblica in Italia e se non si inquadrassero le parole del Pontefice nelle vicende politiche d’oggi. Infatti gli orientamenti di Benedetto XVI non costituiscono soltanto dei richiami pastorali ma vengono anche assunti come direttive rigorosamente interpretate nell’azione politica della Conferenza episcopale italiana, a tal punto da influire decisamente sui comportamenti politici sia del centrodestra che del centrosinistra e da essere meccanicamente trasferiti nelle leggi dello Stato approvate in Parlamento.
In sostanza,anche se questo tradizionalismo anti-moderno, anti-laico ed anti-liberale di origine pontificale e clericale non rappresenta il sentimento e gli interessi della maggioranza del popolo italiano, l’offensiva condotta in suo nome ha in qualche modo conquistato una sorta di egemonia nella vita pubblica sicché ha potuto ottenere successi che soltanto dieci, venti o trent’anni fa, in piena egemonia della Democrazia cristiana, sarebbero stati inimmaginabili. .
Senza dilungarmi nell’elencazione dell’offensiva tradizionalista, basta ricordare la maniera pretestuosa in cui è stata sollevata la questione dell’identità e delle radici che hanno ridotto la storia dell’Occidente (che comprende la tradizione greco-romana, quella cristiana e ancora l’umanismo e l’illuminismo) alla sola dimensione cristiana e poi a quella cattolica della Chiesa ufficiale. Basta richiamare l’obbrobrio della legge 40 sulla procreazione assistita e il referendum guidato politicamente dalla Conferenza Episcopale Italiana. Basta riandare alla polemica sulla personalità giuridica dell’embrione, e all’offensiva antiscientifica sulle cellule staminali, oppure all’agitazione dello spauracchio dell’eugenetica. E, ancora, non si può fare a meno di menzionare la riproposizione di un antidarwinismo primitivo e l’incomprensibile accusa di anticostituzionalità a un provvedimento elementare come i Pacs che è stato adottato nella maggioranza dei paesi europei da parlamenti d’ogni colore politico.
Stando così le cose, è proprio da tale ondata neo-tradizionalista ed anti-laica che nasce la questione laica nell’Italia d’oggi. Non sono stati i laici a rialzare gli storici steccati, ma sono i neotradizionalisti ad essere responsabili dei nuovi conflitti incentrati sull’intolleranza con la rivendicazione del monopolio morale e il rifiuto del pluralismo etico che dovrebbe essere intrinseco alle democrazie liberali.
Di più, accanto alle posizioni più ortodosse della Chiesa ufficiale, peraltro assai contestate anche all’interno del mondo cattolico, si è andata formando un’alleanza del tutto nuova di coloro che definisco “gli atei devoti, i laici pentiti e i novelli bigotti” che ripropongono sotto altre sembianze concezioni del mondo e ricette logore appartenenti a un passato che pochi pensavano potesse ricomparire.
Questa offensiva dei nuovi tradizionalisti che esprime uno stato d’animo minoritario ma aggressivo di stile clericale e reazionario è stata provocata dall’irruzione di un gruppo di pressione, esiguo ma vocale, che condiziona gli schieramenti di destra e di sinistra, facendosi forte delle posizioni teologico-dogmatiche della Chiesa e dell’interventismo politico che su di esse hanno sviluppato i vescovi italiani sotto l’intelligente guida del cardinale Ruini dopo la fine dell’unità politica dei cattolici nella DC.
Paradossalmente è stata la fine del partito interlocutore speciale della chiesa ad aumentare enormemente l’influenza delle gerarchie ecclesiastiche sulla politica italiana e la loro capacità di
di “dettare legge”

Politica e morale

Il tratto più significativo che affratella i cattolici tradizionalisti, che vi sono sempre stati nel nostro paese, e i nuovi antiliberali bigotti che si definiscono anche “atei devoti” è l’ambigua commistione tra questione morale e questione politica. La distinzione delle due sfere è, come noto, l’effetto della secolarizzazione che ha separato ragione e fede ed ha dato vita alla moderna civiltà liberale.
Non è qui necessario ricordare ancora una volta che l’idea di rivestire lo Stato e la società di connotati etici è stata praticata nel Novecento dagli autoritarismi e dai totalitarismi. I fascismi, i nazismi, i comunismi, i militarismi, i giustizialismi, i populismi e tutte le altre forme in cui si è manifestato l’autoritarismo nel mondo contemporaneo hanno sventolato le bandiere della moralità e dell’eticità per meglio controllare la società di massa. E sono stati proprio i pensatori antiliberali, con le loro teorie intrise di tradizionalismo moralistico e di identitarismo etnico o etico, che hanno fatto da supporto alle dittature d’ogni colore.
La tradizione liberale e laica, invece, non ha mai prescritto soluzioni moralmente ed eticamente corrette. Il metodo democratico non può servire a tradurre negli affari terreni verità assolute o principi trascendentali non negoziabili. In questo senso la rivoluzione liberale ha distinto le questioni di coscienza, religiose e morali, dalla politica, il cui compito è di mediare tra le varie idee e i contrapposti interessi per formare il governo che meglio corrisponde alle aspettative non di una parte ma dell’intera comunità.
L’avanzata della libertà, dei diritti e della laicità, che i neo-tradizionalisti vorrebbero rimettere in discussione, viene da lontano, dall’Habeas corpus inglese del 1679, dalla Legge sulla tolleranza, dalla Dichiarazione di diritti dell’uomo del 1789 fino al Bill of Rights americano del 1791. Le sue tappe storiche – umanesimo, protestantesimo, etica della tolleranza e secolarizzazione della politica – hanno contrassegnato la civiltà contemporanea e quindi anche l’identità italiana.
Lo Stato neutrale che ne è risultato, non assume in sé un determinato sistema di valori, ma permette il libero confronto tra le componenti religiose e culturali della società al fine di adottare un sistema di valori tollerante e inclusivo. In una visione laica, il bene e il male non può essere stabilito né dallo Stato né da qualsiasi altro potere, e l’individuo deve essere padrone di scegliere la sua morale.
L’idea dello Stato etico, così come l’illusione della società giusta o buona, non appartiene alla politica secolarizzata quale si è andata affermando con la difesa delle libertà nel confronto con i totalitarismi. Già nell’Ottocento i padri del pensiero liberale, John Stuart Mill e Benjamin Constant, bollavano come illegittima la pretesa della morale cristiana di essere assunta nelle istituzioni civili come unico modello etico per la vita dell’uomo.
Ancora oggi il maggiore equivoco che calpesta la laicità nelle nostre società è la pretesa, vieppiù ribadita non solo dalla Chiesa ma anche da circoli non ecclesiastici, di fare coincidere l’etica (in special modo l’etica pubblica) con la religione (in particolare con la religione cattolica come professata dall’ortodossia ecclesiastica).
Rimettere in gioco la distinzione tra fede e ragione, e quindi privare ogni persone del diritto a vivere secondo i suoi legittimi costumi morali non significa supplire al presunto vuoto etico del nostro tempo. Significa solo proporre il rovesciamento del pensiero moderno che ha consentito lo sviluppo di società religiosamente pacificate, civilmente tolleranti e la separazione tra Stato e Chiesa premessa della libertà religiosa prima di tutto per i credenti.

L’inganno dell’identità

L’identità cristiana è tornata ad essere materia di riflessione anche in politica da quando è in corso l’attacco del fondamentalismo islamista. Ho tuttavia l’impressione che le idee che si vorrebbero a fondamento di una politica “sana” per l’Occidente, così come propugnate dal neo-tradizionalismo cattolico e da quello ex-laico, presentino più d’un punto debole. Infatti la storia d’Europa, come effettivamente si è dipanata, dovrebbe insegnare che le radici cristiane sono solo una parte della tradizione nazionale e continentale. Anzi, sarebbe facile sostenere che la modernità sviluppatasi con l’Illuminismo ed affermatasi con la democrazia pluralistica, ha spesso incontrato l’ostilità delle chiese nazionali, particolarmente del cattolicesimo italiano. La cosiddetta “identità cristiana ha un profondo significato ma soprattutto da un punto di vista storico e non attuale.
Non metto in dubbio che l’identità sia importante per la nostra civiltà. Ma si dovrebbe tenere conto dell’insieme delle vicende politiche, culturali e civili che hanno dato forza e identità alle popolazioni occidentali. È sì vero che in tutte le alleanze antitotalitarie, anche le Chiese hanno avuto un ruolo importante. Ma l’Occidente, lo stesso che oggi è sotto assedio del terrorismo islamista, ha trovato se stesso nella democrazia politica, nei diritti individuali e nel libero mercato più che nelle radici religiose, peraltro assai diversificate e spesso in conflitto reciproco. Chi oggi volesse restringere la questione dell’identità occidentale alle radici cristiane dividerebbe e non rafforzerebbe intellettualmente il fronte che separa l’Europa dai suoi nemici.

Non c’è persona ragionevole che possa negare la realtà dello scontro in atto con l’Islam.. Scambiare però le particolari iniziative della minoranza fondamentalista con la totalità del mondo islamico sarebbe un errore che faciliterebbe i nostri nemici. Non è lungimirante avallare concetti come “scontro di civiltà” oppure ricorrere alla storia dei secoli passati per rievocare la contrapposizione, magari a Lepanto, tra Cristianità e Islamismo. Si fa un torto alla realtà ignorando che nell’Islam vi possono essere significativi cambiamenti se l’Occidente non radicalizza le sue posizioni.

La migliore politica occidentale in materia si è avuta quando la realtà è stata affrontata con flessibilità pragmatica che ha messo da parte le rigidità ideologiche, gli assiomi valoriali e il feticismo delle identità. Temo che percorra un binario morto chi oggi rincorre certezze identitarie come premesse per ricette politiche da applicarsi all’interno e su scala internazionale. Se il discorso sull’identità può gratificare intellettualmente, rischia di produrre catastrofi politiche.

Risveglio religioso e società laicizzata

I neo-tradizionalisti cattolici e i cosiddetti “atei devoti” sostengono che la necessità del superamento della secolarizzazione discenderebbe dal grande risveglio spirituale legato alla religione cattolica. Certo, il carisma mediatico di papa Giovanni Paolo II, specialmente verso gli extraeuropei, ha avuto un significato che non si può ignorare. Mi pare però che l’attuale pontefice eserciti molto minore richiamo sulle folle. Del resto gran parte della tensione intellettuale di Benedetto XVI è volta a dimostrare che la fede cristiana ha un contenuto razionale: cosa che mi pare sia in sé una contraddizione perché ogni religiosità contiene qualcosa di razionalmente indimostrabile.
Ma la questione su cui vorrei qui concentrami è se la presenza di una nuova religiosità in alcuni settori della società sia sufficiente ad assegnare, oggi, in Italia, alle direttive della Chiesa il valore di leggi generali dello Stato. A me pare che spetti alla politica, e solo alla politica, attraverso il Parlamento, il Governo, la legislazione e la giurisdizione di sciogliere il nodo del rapporto civile con la religione.
È si vero che anche in Italia si assiste a un certo risveglio religioso con il bisogno della trascendenza e la richiesta del conforto specialmente tra i giovani, ma non vi può essere dubbio che il fenomeno si combini con il suo opposto, la secolarizzazione dei comportamenti di gran parte della gente comune. Tutti i dati empirici dicono che l’Italia si sta allineando ad altri paesi occidentali in cui il credo religioso, in particolare quello cattolico, da fenomeno genericamente diffuso nella maggioranza diviene caratteristica intensa di una minoranza della popolazione.
Tale trasformazione è visibile nella cultura di massa. Dalla televisione ai comportamenti esibiti, dalla pubblicità all’etica corrente, ovunque si constata un notevole ripiegamento dell’osservanza delle direttive impartite dalla Chiesa. Gli italiani si sposano sempre meno in chiesa e sempre più in municipio. I battesimi e le comunioni, benché profondamente radicati nel costume popolare, diminuiscono. Le cremazioni, un tempo al bando, oggi sono tollerate e crescono a vista d’occhio. Nelle scuole sono sempre più i giovani che chiedono l’esonero dall’ora di religione. Il tasso delle nascite nel nostro paese è ai livelli più bassi del mondo con un’infausta prospettiva di declino demografico, segno anche dello scarso ascolto della Chiesa, per non parlare dei comportamenti sessuali e del consenso che, anche tra coloro che si dichiarano cattolici, è indirizzato a materie come aborto, coppie di fatto, controllo delle nascite, eutanasia e via di seguito.

Se i diritti vengono da Dio

Qual è, dunque, il nodo della nuova contesa, da una parte tra i laici e i liberali che distinguono la ragione dalla fede, e dall’altra i neo-tradizionalisti antiliberali che sostengono nel dibattito e nelle istituzioni politiche le richieste della Chiesa italiana per ottenere un più ampio spazio pubblico per la religione?
L’obiettivo della Chiesa da cui nasce la questione laica nell’Italia d’oggi può essere riassunta da queste parole del Pontefice: “In una società libera i valori cattolici dovrebbero essere fatti propri anche dalla cultura laica positiva”, intendendo con tale espressione quello “Stato laico che non difende soltanto interessi profani, ma tutela il diritto di ogni cittadino a vivere la propria fede religiosa con autentica libertà in ambito pubblico”.
Da queste parole che non sono affatto accidentali traspare il vero obiettivo di Benedetto XVI secondo cui “uno Stato sanamente laico” non dovrebbe fare altro che riconoscere nella legislazione un adeguato spazio all’etica della Chiesa in quanto “la dignità dell’uomo e i suoi diritti fondamentali che rappresentano valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, non vengono creati dal legislatore ma sono iscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al Creatore”.
Di fronte a tali rivendicazioni che sembrano discendere direttamente dalla concezione tomistica dei diritti naturali noi laici rispondiamo che ci vuole l’intervento dell’uomo per dare corpo ai diritti naturali e che proprio l’universalismo umanistico nella società secolarizzata ha preceduto la Chiesa nell’affermazione del carattere fondamentale dei diritti dell’uomo e del cittadino.
È tradizione liberale che la mediazione tra sentimento religioso (o etico) e politica si compia essenzialmente nella coscienza personale. Non che lo spazio pubblico nella società laica e nello Stato neutrale sia precluso allo spirito religioso e all’etica individuale, ma la distanza tra un approccio clericale e uno laico, anche nei credenti, si misura nell’accettazione o nel rifiuto del ruolo del potere.

I nodi principali: Chiesa, potere e proibizionismo

Vorrei in conclusione ribadire con forza che i laici, da qualsiasi tradizione provengano, ritengono che la Chiesa, anzi le Chiese, cioè le varie istituzioni che traducono il bisogno di fede in religioni positive, devono avere il massimo spazio e la massima possibilità di affermarsi nella società promuovendo con tutti gli strumenti che ritengono utili i valori da loro propugnati nelle coscienze dei cittadini.
Il contrasto, oggi, in Italia, tra una visione laica e una neo-tradizionalista a me pare risiedere essenzialmente in due nodi che si aggrovigliano sempre più. Il primo riguarda l’uso del potere. Il paradosso italiano sta nel fatto che se da una parte il mondo cattolico ufficiale e i suoi sostenitori rivendicano l’opera di apostolato sui propri valori in concorrenza con altre visioni del mondo religioso e non religioso, dall’altra gli stessi non intendono minimamente abbandonare le speciali condizione di potere iscritte nelle regole concordatarie che statuiscono i rapporti tra lo Stato italiano e il Vaticano.
Quel che perciò non è idealmente, politicamente e religiosamente accettabile è l’ambiguo gioco su due tavoli: la libera presenza della Chiesa nella società con la sua forte azione valoriale, e il rapporto privilegiato di potere con le istituzioni statali.
In tal senso non vi può essere alcun paragone con gli Stati Uniti, come spesso si usa fare, dove c’è sì una vigorosa presenza delle Chiese (ma non di una Chiesa monopolistica) nella società ma queste presenze si collocano nel quadro della rigorosa separazione tra Stato e Chiesa che è costituzionalmente stabilita una volta per tutte con il Primo Emendamento, cardine del Bill of Rights.

La seconda questione di grande attualità è la crescente imposizione per legge di un punto di vista morale (religioso) di una parte all’insieme della comunità nazionale. Anche in questo caso mi riferisco al terreno più direttamente politico che è tornato ad essere molto conflittuale negli ultimi anni. Per tale aspetto lo scontro non è soltanto tra diverse visioni ideali ed etiche, laiche, religiose, cattoliche, bensì sui criteri e i limiti che la legislazione e l’azione dello Stato devono avere nei confronti delle scelte morali individuali e dei comportamenti personali.
Una visione laica, a me pare, non è certo quella che nega qualsiasi ispirazione etica alle leggi professando un indifferentismo agnostico buono per ogni uso. Ma anche sul terreno in cui entrano in gioco i moral issues la legge erga omnes deve essere ispirata a ragionevoli compromessi che sono edificanti solo se escludono i proibizionismi che derivano da verità morali e religiose assolute. In tal senso vale l’indicazione legislativa di Hans Kelsen: “il compromesso democratico significa risoluzione di un conflitto mediante una norma che non è totalmente conforme agli interessi di una parte, né totalmente contraria agli interessi dell’altra”.
Quali le conseguenze sul terreno etico? Che legiferando in tema di divorzio, aborto, diritti degli omosessuali, contraccezione, fecondazione assistita, eutanasia, cellule staminali e ricerca scientifica non si può assumere il punto di vista del tradizionalismo cattolico ortodosso come regola valida per tutti. Infatti questi punti di vista che sono precettivi per le coscienze dei credenti cattolici, divengono proibizionisti per coloro che credenti non sono o credono in altri valori, ideali e fedi.
E’ questo uno dei punti cruciali dell’attuale polemica. Che non è tra indifferentisti/relativisti e credenti portatori di una morale personale e un’etica pubblica che riempie il vuoto della crisi della modernità. Ma è tra laici che affidano le scelte morali alla coscienza individuale nei limiti di ragionevoli compromessi con gli interessi sociali e dei terzi, e i proibizionisti che vogliono autoritariamente imporre le loro credenze anche a quanti non le condividono.

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