Il monopolio dell’informazione e l’importanza riconosciuta alle tecniche della propaganda furono aspetti tipici delle dittature fascista e nazista: la propaganda su vasta scala, condotta con tecniche nuove, adatta alle caratteristiche della società moderna fu l’arma vincente di queste dittature.
In Germania l’uomo che se ne assunse il compito, con straordinario successo, fu Joseph Goebbels, posto a dirigere (l’11 marzo 1933, poche settimane dopo la presa del potere) il ministero di nuova istituzione per l’educazione popolare e la propaganda.
In Italia Mussolini, essendo un giornalista, capì subito l’importanza fondamentale della stampa per affermare il suo potere.
Nei primi anni del regime la stampa fu sottoposta ad un controllo formale. Mussolini acquistò i maggiori giornali italiani per portare avanti il suo progetto teso ad accrescere il consenso intorno al regime. Nonostante il controllo attuato dal fascismo però, alcuni giornali d’opposizione come La Stampa e Il Corriere della Sera riuscirono a sopravvivere.
Con le "Leggi Fascistissime" e quelle del 31\12\1925 Mussolini dispose che ogni giornale avesse un direttore responsabile inserito nel partito fascista e che il giornale stesso, prima di essere pubblicato, fosse sottoposto ad un controllo. Queste leggi inoltre istituirono "L’ Ordine dei Giornalisti" i cui membri dovevano far parte del partito fascista. Mussolini creò inoltre l’Ufficio Stampa, che nel 1937 venne trasformato in Ministero Della Cultura Popolare (Min. Cul. Pop.)
Questo Ministero aveva l’incarico di controllare ogni pubblicazione sequestrando tutti quei documenti ritenuti pericolosi o contrari al regime e diffondendo i cosiddetti "ordini di stampa" ( o "veline") con i quali s’impartivano precise disposizioni circa il contenuto degli articoli, l’importanza dei titoli e la loro grandezza.
A capo di questo Ministero c’era Galeazzo Ciano, che poi diventò Ministro degli Esteri e che s’interessò anche dei mezzi di comunicazione di massa, cioè la radio e il cinema. Il Min. Cul. Pop., oltre a controllare le pubblicazioni, si pose come obiettivo quello di suscitare entusiasmo intorno alla guerra d’Etiopia e di esaltare il mito del Duce.
Va sottolineato però come molte adesioni da parte dei giovani intellettuali al Min. Cul. Pop. derivassero spesso dalla frustrazione, dalla miseria, dall’assenza di prospettive professionali e dallo scetticismo politico che condizionava l’animo di coloro che erano costretti a prostituirsi moralmente per vivere.
Il Min. Cul. Pop. infatti era diventato un centro di smistamento e collocamento di forza lavoro intellettuale favorendo con essa la diffusione della cultura fascista. D’altronde l’antifascismo militante e l’opposizione politica erano ormai finiti e qualche intellettuale faceva parte di quella generazione che a scuola aveva conosciuto solamente il fascismo, anche se le collaborazioni fisse il Min. Cul. Pop. le stabilì solamente con gli intellettuali di maggior prestigio.
I "cavalli di battaglia" della stampa di quegli anni riguardavano temi ed argomenti cari al Regime, come il mito della "romanità", quello del giovanilismo dello stato fascista, il corporativismo, il dopolavoro, le bonifiche, le colonie, il progresso tecnologico, il ritorno alla terra, il turismo, i modelli urbanistici degli anni Trenta, la maternità o la famiglia.
Di notevole importanza per il tempo era anche la radio che trasmetteva i discorsi del Duce, oltre ai notiziari sportivi e ai programmi musicali, e che portava avanti una grande opera di persuasione verso la massa. Questi sono, infatti, i primi anni in cui si può parlare di una società di massa e questa innovazione, come d’altronde il cinema, rivestì grande importanza nella propaganda fascista. Le trasmissioni radio, iniziate nel 1924, assunsero un carattere marcatamente fascista solo nel 1928 ; l’anno successivo venne creato il "Giornale Radio", un radiogiornale che rivisitava i fatti del giorno in ottica fascista e che si ripeteva ad intervalli regolari durante l’intera giornata (celebri divennero le Cronache del regime di Forges Davanzati e il Commento ai fatti del giorno di Mario Appelius).
L’altra innovazione nei mezzi di comunicazione di massa è, come detto, il cinema, che a partire dal 1925 venne posto sotto il diretto controllo dello stato tramite la creazione dell’Istituto LUCE.
Già qualche anno prima della Grande Guerra aveva iniziato a manifestarsi in Europa un vivo interesse per il cinema come mezzo di educazione e di promozione di cultura.
Nel 1919 arrivò la consacrazione con il Duce che affidò al cinema il compito di una vasta operazione educativa e propagandistica. Nacque così il LUCE, ovvero L’Unione Cinematografica Educativa. Nel 1920 iniziò l’attività vera e propria con l’obbligo da parte del LUCE di proiettare i suoi film in tutte le sale cinematografiche, mentre nello stesso periodo si chiudeva il cinema privato UCI.
L’Unione Cinematografica Educativa divenne il fulcro del cinema e venne posto alle dirette dipendenze del Capo del governo con l’obbligo della supervisione diretta di Mussolini sui materiali realizzati. In quel periodo nacque anche la produzione del cinegiornale, un giornale fatto di immagini tipo rotocalco: apertura e chiusura erano dedicate a notizie che riguardavano Mussolini o la Casa Savoia, e all’interno trovavano spazio i documentari dall’estero.
Le sale in Italia erano parecchie ma non coprivano tutto il territorio nazionale; nacque così il Cinemobile che proiettava film nelle piazze. Nel 1931 avvenne il passaggio dal cinema muto a quello sonoro.
Nel 1932 l’istituto LUCE dal Palazzo delle Corporazioni si trasferì in via S. Susanna dove venne attrezzato per tutte le sue funzioni ad eccezione dello sviluppo e stampa della pellicola. I comparti di produzione erano suddivisi fra cinegiornali, film didattico-scientifici, film documentari e film vari.
Importante iniziativa fu presa per il decennale della rivoluzione fascista nel quale il LUCE produsse il suo primo lungometraggio, "Camicia Nera", che raccontava la storia del fascismo con un misto di cinema, documentari e fiction e mostrando insieme reperti e materiali appositamente girati.Il genere documentario e quello di divulgazione scientifica restarono la punta di diamante del LUCE e, infatti, erano tra i migliori del mondo ed erano molto richiesti. Questo spinse a un maggior impegno sulle immagini e sulla ricerca di nuovi modi per proporre le notizie e la propaganda in maniera più convincente e appetibile al pubblico.
Se prima dell’entrata in guerra nel giugno del 1940 l’interesse del governo per il cinema di fiction era pressoché nullo, in seguito si accorse che gli italiani, quando non erano interessati ai bollettini di guerra, si distraevano con i film del genere detto dei "telefoni bianchi". Così dal 1935 l’istituto LUCE diede vita all’Ente Nazionale Industrie Cinematografiche. Attraverso Luigi Freddi, passato alla storia come eminenza grigia del cinema di regime, si diede inizio all’opera di propaganda sfruttando il cinema di stato. Nacque l’idea di Cinecittà, che Mussolini inaugurò nel "Natale di Roma" del 1937 .
Intanto, il 24 settembre 1936 l’istituto LUCE aveva cessato di essere alle dipendenze del Capo del Governo per passare a quella del Ministero per la Stampa e la Propaganda. Il LUCE aveva già consolidato una propria esperienza con inviati speciali nei primi anni Trenta. Con la guerra il loro lavoro si nazionalizzò e si specializzò: il LUCE organizzava i servizi con propri operatori di guerra inviandoli sul campo di battaglia, al contrario degli anglo-americani che dotarono ogni reparto di una macchina da presa e apparecchiature fotografiche usate dai soldati stessi.
Si ricorda il caso di Rino Filippini, operatore LUCE, che aveva realizzato filmati con immagini tragiche che mostravano le condizioni di combattenti al limite delle forze, con i vestiti stracciati e senza scarpe, documentari che furono censurati dal Min. Cul. Pop. perché screditavano l’immagine dell’Italia. Il LUCE aveva infatti il compito, impostogli da Mussolini, di mostrare al pubblico immagini di una guerra facile, non traumatica e facilmente sopportabile per la nostre truppe, una guerra ben lontana dalla realtà.
In Germania l’uomo che se ne assunse il compito, con straordinario successo, fu Joseph Goebbels, posto a dirigere (l’11 marzo 1933, poche settimane dopo la presa del potere) il ministero di nuova istituzione per l’educazione popolare e la propaganda.
In Italia Mussolini, essendo un giornalista, capì subito l’importanza fondamentale della stampa per affermare il suo potere.
Nei primi anni del regime la stampa fu sottoposta ad un controllo formale. Mussolini acquistò i maggiori giornali italiani per portare avanti il suo progetto teso ad accrescere il consenso intorno al regime. Nonostante il controllo attuato dal fascismo però, alcuni giornali d’opposizione come La Stampa e Il Corriere della Sera riuscirono a sopravvivere.
Con le "Leggi Fascistissime" e quelle del 31\12\1925 Mussolini dispose che ogni giornale avesse un direttore responsabile inserito nel partito fascista e che il giornale stesso, prima di essere pubblicato, fosse sottoposto ad un controllo. Queste leggi inoltre istituirono "L’ Ordine dei Giornalisti" i cui membri dovevano far parte del partito fascista. Mussolini creò inoltre l’Ufficio Stampa, che nel 1937 venne trasformato in Ministero Della Cultura Popolare (Min. Cul. Pop.)
Questo Ministero aveva l’incarico di controllare ogni pubblicazione sequestrando tutti quei documenti ritenuti pericolosi o contrari al regime e diffondendo i cosiddetti "ordini di stampa" ( o "veline") con i quali s’impartivano precise disposizioni circa il contenuto degli articoli, l’importanza dei titoli e la loro grandezza.
A capo di questo Ministero c’era Galeazzo Ciano, che poi diventò Ministro degli Esteri e che s’interessò anche dei mezzi di comunicazione di massa, cioè la radio e il cinema. Il Min. Cul. Pop., oltre a controllare le pubblicazioni, si pose come obiettivo quello di suscitare entusiasmo intorno alla guerra d’Etiopia e di esaltare il mito del Duce.
Va sottolineato però come molte adesioni da parte dei giovani intellettuali al Min. Cul. Pop. derivassero spesso dalla frustrazione, dalla miseria, dall’assenza di prospettive professionali e dallo scetticismo politico che condizionava l’animo di coloro che erano costretti a prostituirsi moralmente per vivere.
Il Min. Cul. Pop. infatti era diventato un centro di smistamento e collocamento di forza lavoro intellettuale favorendo con essa la diffusione della cultura fascista. D’altronde l’antifascismo militante e l’opposizione politica erano ormai finiti e qualche intellettuale faceva parte di quella generazione che a scuola aveva conosciuto solamente il fascismo, anche se le collaborazioni fisse il Min. Cul. Pop. le stabilì solamente con gli intellettuali di maggior prestigio.
I "cavalli di battaglia" della stampa di quegli anni riguardavano temi ed argomenti cari al Regime, come il mito della "romanità", quello del giovanilismo dello stato fascista, il corporativismo, il dopolavoro, le bonifiche, le colonie, il progresso tecnologico, il ritorno alla terra, il turismo, i modelli urbanistici degli anni Trenta, la maternità o la famiglia.
Di notevole importanza per il tempo era anche la radio che trasmetteva i discorsi del Duce, oltre ai notiziari sportivi e ai programmi musicali, e che portava avanti una grande opera di persuasione verso la massa. Questi sono, infatti, i primi anni in cui si può parlare di una società di massa e questa innovazione, come d’altronde il cinema, rivestì grande importanza nella propaganda fascista. Le trasmissioni radio, iniziate nel 1924, assunsero un carattere marcatamente fascista solo nel 1928 ; l’anno successivo venne creato il "Giornale Radio", un radiogiornale che rivisitava i fatti del giorno in ottica fascista e che si ripeteva ad intervalli regolari durante l’intera giornata (celebri divennero le Cronache del regime di Forges Davanzati e il Commento ai fatti del giorno di Mario Appelius).
L’altra innovazione nei mezzi di comunicazione di massa è, come detto, il cinema, che a partire dal 1925 venne posto sotto il diretto controllo dello stato tramite la creazione dell’Istituto LUCE.
Già qualche anno prima della Grande Guerra aveva iniziato a manifestarsi in Europa un vivo interesse per il cinema come mezzo di educazione e di promozione di cultura.
Nel 1919 arrivò la consacrazione con il Duce che affidò al cinema il compito di una vasta operazione educativa e propagandistica. Nacque così il LUCE, ovvero L’Unione Cinematografica Educativa. Nel 1920 iniziò l’attività vera e propria con l’obbligo da parte del LUCE di proiettare i suoi film in tutte le sale cinematografiche, mentre nello stesso periodo si chiudeva il cinema privato UCI.
L’Unione Cinematografica Educativa divenne il fulcro del cinema e venne posto alle dirette dipendenze del Capo del governo con l’obbligo della supervisione diretta di Mussolini sui materiali realizzati. In quel periodo nacque anche la produzione del cinegiornale, un giornale fatto di immagini tipo rotocalco: apertura e chiusura erano dedicate a notizie che riguardavano Mussolini o la Casa Savoia, e all’interno trovavano spazio i documentari dall’estero.
Le sale in Italia erano parecchie ma non coprivano tutto il territorio nazionale; nacque così il Cinemobile che proiettava film nelle piazze. Nel 1931 avvenne il passaggio dal cinema muto a quello sonoro.
Nel 1932 l’istituto LUCE dal Palazzo delle Corporazioni si trasferì in via S. Susanna dove venne attrezzato per tutte le sue funzioni ad eccezione dello sviluppo e stampa della pellicola. I comparti di produzione erano suddivisi fra cinegiornali, film didattico-scientifici, film documentari e film vari.
Importante iniziativa fu presa per il decennale della rivoluzione fascista nel quale il LUCE produsse il suo primo lungometraggio, "Camicia Nera", che raccontava la storia del fascismo con un misto di cinema, documentari e fiction e mostrando insieme reperti e materiali appositamente girati.Il genere documentario e quello di divulgazione scientifica restarono la punta di diamante del LUCE e, infatti, erano tra i migliori del mondo ed erano molto richiesti. Questo spinse a un maggior impegno sulle immagini e sulla ricerca di nuovi modi per proporre le notizie e la propaganda in maniera più convincente e appetibile al pubblico.
Se prima dell’entrata in guerra nel giugno del 1940 l’interesse del governo per il cinema di fiction era pressoché nullo, in seguito si accorse che gli italiani, quando non erano interessati ai bollettini di guerra, si distraevano con i film del genere detto dei "telefoni bianchi". Così dal 1935 l’istituto LUCE diede vita all’Ente Nazionale Industrie Cinematografiche. Attraverso Luigi Freddi, passato alla storia come eminenza grigia del cinema di regime, si diede inizio all’opera di propaganda sfruttando il cinema di stato. Nacque l’idea di Cinecittà, che Mussolini inaugurò nel "Natale di Roma" del 1937 .
Intanto, il 24 settembre 1936 l’istituto LUCE aveva cessato di essere alle dipendenze del Capo del Governo per passare a quella del Ministero per la Stampa e la Propaganda. Il LUCE aveva già consolidato una propria esperienza con inviati speciali nei primi anni Trenta. Con la guerra il loro lavoro si nazionalizzò e si specializzò: il LUCE organizzava i servizi con propri operatori di guerra inviandoli sul campo di battaglia, al contrario degli anglo-americani che dotarono ogni reparto di una macchina da presa e apparecchiature fotografiche usate dai soldati stessi.
Si ricorda il caso di Rino Filippini, operatore LUCE, che aveva realizzato filmati con immagini tragiche che mostravano le condizioni di combattenti al limite delle forze, con i vestiti stracciati e senza scarpe, documentari che furono censurati dal Min. Cul. Pop. perché screditavano l’immagine dell’Italia. Il LUCE aveva infatti il compito, impostogli da Mussolini, di mostrare al pubblico immagini di una guerra facile, non traumatica e facilmente sopportabile per la nostre truppe, una guerra ben lontana dalla realtà.
Nessun commento:
Posta un commento