venerdì 4 gennaio 2008

Jean Genet.

In merito ai gigli.


In questo breve stralcio, parte d'uno scritto preparato su invito per la trasmissione radiofonica Carte Blanche della Radio Francese, nella sua sgargiante violenza, Jean Genet dichiara la sua ammirazione, il suo amore per i giovani apprendisti della cattiva strada. Ringhiando alla toga invoca una crudeltà credibile, che faccia sanguinare il giovane criminale, che spezzi le sue vertebre; saranno il rigore inflessibile, la condanna dura, il castigo, che l'ammanteranno di splendore. Il giovane criminale chiede d'essere riconosciuto. Ogni suo magnifico, eroico atto violento è un tenero gesto d'intransigente opposizione, di candore, che fiorisce dalla sporcizia della morale Sociale e la calpesta.
La trasmissione, in quel 1948 ed in seguito, non fu mandata in onda.
"Se dei ragazzi hanno l'audacia di dirvi di no, castigateli. Siate duri, e non vi faranno sconti. Ma da molto tempo voi barate, nei vostri tribunali, nelle vostre Corti d'assise, ormai, non rispettate più il cerimoniale di rito: non perchè lo abbiate sostituito con una crudeltà più intrinseca, con una crudeltà, se così posso dire, in giacca e cravatta, niente affatto; semplicemente, per un'imperdonabile trascuratezza, vi presentate in un'aula di tribunale con una toga rattoppata i cui risvolti spesso non sono neppure più di seta, ma di rayon o di satin. Applicherete dunque tutte le regole del codice, e anzitutto le più formalistiche. Il giovane criminale non crede più alla vostra dignità, perchè s'è accorto ch'era fatta di cordoncino stinto, di passamano sdrucito, di logora pelliccia. La grettezza, la polvere, la povertà delle vostre vedute lo rattristano. E' sul punto d'offrirvi un pò di maestà, la maestà che egli sa ottenere da una seduta più solenne dove compaia in segreto mentre voi, sotto i suoi occhi, continuate la vostra infantile messinscena. Quasi quasi, se non temeste d'essere accusati non già di paterna indulgenza ma di sentimenti abietti, la familiarità vi spingerebbe a carezzargli il viso. Suvvia, non è che uno scherzo. Ma a voi sembra pesante, vero? Siete certi di salvare quei ragazzi. Per fortuna, alla bellezza delle canaglie più adulte, che loro ammirano, ai fieri assassini, non potete opporre che ridicoli secondini, strizzati in uniformi mal tagliate e che non sanno portare. Non c'è uno solo dei vostri funzionari che possa trascinare i ragazzi e aiutarli a coronare l'avventura che essi stessi hanno intrapreso. Nulla potrà sostituire il fascino del fuorilegge. Il gesto criminale è più importante di qualsiasi altro, perchè è in virtù di questo gesto che ci opponiamo a una forza tanto grande, morale e fisica. Anche voi credete alla bellezza di Vacher, di Weidmann, di Ange Soleil. Insorgo contro l'affermazione: "c'erano in loro meravigliose potenzialità che si sarebbero potute mettere a frutto...". Solo voi potete utilizzare un simile linguaggio, il linguaggio della Società, ma se vi interrogassi con rigore, vi trovereste in grave imbarazzo. Giacchè le più meravigliose possibilità loro le hanno messe a frutto, e da sé. Se non riuscite a conquistare i ragazzi con le buone, potete sempre guarirli: gli psichiatri non vi mancano. A questi psichiatri basterebbe in fondo rivolgere qualche domanda, le domande semplici e di sempre. La loro funzione consiste nel modificare il comportamento morale dei ragazzi, d'accordo: ma per condurli a quale morale? Quella che si insegna nei manuali di scuola? Ma nessun uomo di scienza la prenderebbe sul serio. Si tratta forse di una specifica morale elaborata di volta in volta da un medico? E costui da dove trae la sua autorità? Domande inutili, che eluderete. Si tratta della morale corrente, lo so, e lo psichiatra se la cava dando ai ragazzi il bel nome di disadattati. Che posso replicare? Alle vostre scaltrezze opporrò la mia astuzia. Poichè oggi, in virtù di non so quale errore, è consentito ad un poeta che fu uno di loro di esprimersi davanti al microfono, voglio ribadire tutta la mia tenerezza per questi ragazzini senza pietà. Non mi faccio illusioni. Parlo nel vuoto e nel buio, eppure, non fosse che per me solo, voglio ingiuriare chi li ingiuria."
N.B. Jean Genet soggiornò per tre anni nel riformatorio di Mettray, fino al 1929 quando s'arruolò per sottrarsi alla detenzione.

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