Un socialista liberale.
Un "cafone", dopo morto, si ritrovò davanti alla porta del Paradiso. Bussò per entrare, ma gli dissero che non c'era posto. Allora scese in Purgatorio. Ma anche qui non c'era posto per lui. Scese ancora e si ritrovò a bussare alla porta dell'inferno. Qui il posto c'era e lo fecero entrare. Dopo un periodo di permanenza in quel luogo di punizione, Lucifero, il capo dei diavoli, volle sapere dal nuovo arrivato come si trovasse. "Bene" disse il cafone. "Mi trovo molto bene". E Lucifero sorpreso e preoccupato da quella risposta gli chiese: "Ma da dove vieni?". "Dal Tavoliere delle Puglie. Quello si che è un inferno". Lucifero, però, non volle credere alle parole del cafone. Chiamò un diavolo e gli disse di andare in missione nel Tavoliere delle Puglie per verificare le parole del nuovo arrivato. "Vai e fammi sapere". Dopo un po' di tempo il diavolo ritornò con le ali bruciacchiate, con la faccia combinata male e con il corpo che non si riconosceva. "Allora?" Gli chiese Lucifero. "Aveva ragione il cafone. Quel posto sulla terra è un vero inferno. Qui da noi sono rose e fiori". E Luciferò: "Radunate armi e bagagli, da domani ci trasferiamo nel Tavoliere delle Puglie".
Questa è molto in sintesi la storiella dalla quale prende corpo uno dei più bei romanzi di inchiesta sociale che siano mai stati scritti in lingua italiana "Il Cafone all'Inferno", il cui autore è Tommaso Fiore. Egli fu allievo di Benedetto Croce, dal quale si separò allorché il latifondista napoletano, che proprio nelle terre daune aveva parte dei suoi latifondi, gli domandò: "Ma tu poi, in fondo, in questi cafoni cosa ci trovi?". Fu quella ingenua domanda di Benedetto Croce che fece comprendere nel Nostro come il suo Maestro non aveva più nulla da insegnare.
Fiore nacque ad Altamura, provincia di Bari, il 7 marzo 1884. Di famiglia operaia, fu indirizzato agli studi classici. All'Università divorava i saggi di Labriola su Marx che lo aiutarono ad interpretare, in termini socio-economici, la situazione dei "cafoni di Puglia" e finì, irrimediabilmente, per occuparsi delle condizioni del Mezzogiorno, ed in special modo dei contadini, il mondo a lui più vicino, e al riscatto dei quali dedicò l'intera sua vita. Le opere di Benedetto Croce gli fornirono invece il senso dell'operare storico. Fu per questo che, ritornato al suo paese dopo l'esperienza bellica, si impegnò a fianco dei suoi "cafoni" e divenne sindaco di Altamura nel 1920. Pagò un tributo alto al fascismo. L'antifascismo più radicale si organizzò attorno alla sua figura durante il ventennio. Questo costò a lui e a due dei suoi figli, Enzo e Vittore, l'arresto ed il confino. Caduto il fascismo, nel 1943 il figlio Graziano, da poco diciottenne. si mise alla testa dei dimostranti che andavano a liberare dal carcere i prigionieri politici. Tra essi c'era anche Tommaso Fiore. Il giovane figlio cadde sotto i colpi dei soldati di Roatta e di Badoglio che volevano impedire la sollevazione popolare. Fiore divenne poi collaboratore dell'Unità di Salvemini, ma si impegnò anche con "la Rivoluzione liberale" di Gobetti. E fu proprio su richiesta di quest'ultimo che scrisse le "Lettere Pugliesi", nelle quali descriveva l'operosita dei piccoli proprietari, braccianti agricoli giornalieri, contadini, fittavoli, paragonandoli a delle formiche. Come le formiche, lavorando instancabilmente, con sangue e sudore, hanno trasformato la fascia della costa pugliese, da un ammasso di sterili sassi in un rigoglioso giardino di mandorli, ulivi e viti. Ma vi è prima di tutto una minuziosa analisi del contrasto secolare tra i proprietari ed i contadini e braccianti. Ventisette anni dopo quelle lettere vennero ripubblicate sotto il titolo di "Un popolo di formiche" e gli valsero il premio Viareggio.
In questi scritti Tommaso Fiore si rivela anche un tenace federalista contro il centralismo statale e della riorganizzazione in chiave regionalistica dello Stato. Nel socialismo liberale Fiore vedeva lo strumento di azione più efficace per il raggiungimento del federalismo. Morì a Bari il 4 giugno 1973.
Un "cafone", dopo morto, si ritrovò davanti alla porta del Paradiso. Bussò per entrare, ma gli dissero che non c'era posto. Allora scese in Purgatorio. Ma anche qui non c'era posto per lui. Scese ancora e si ritrovò a bussare alla porta dell'inferno. Qui il posto c'era e lo fecero entrare. Dopo un periodo di permanenza in quel luogo di punizione, Lucifero, il capo dei diavoli, volle sapere dal nuovo arrivato come si trovasse. "Bene" disse il cafone. "Mi trovo molto bene". E Lucifero sorpreso e preoccupato da quella risposta gli chiese: "Ma da dove vieni?". "Dal Tavoliere delle Puglie. Quello si che è un inferno". Lucifero, però, non volle credere alle parole del cafone. Chiamò un diavolo e gli disse di andare in missione nel Tavoliere delle Puglie per verificare le parole del nuovo arrivato. "Vai e fammi sapere". Dopo un po' di tempo il diavolo ritornò con le ali bruciacchiate, con la faccia combinata male e con il corpo che non si riconosceva. "Allora?" Gli chiese Lucifero. "Aveva ragione il cafone. Quel posto sulla terra è un vero inferno. Qui da noi sono rose e fiori". E Luciferò: "Radunate armi e bagagli, da domani ci trasferiamo nel Tavoliere delle Puglie".
Questa è molto in sintesi la storiella dalla quale prende corpo uno dei più bei romanzi di inchiesta sociale che siano mai stati scritti in lingua italiana "Il Cafone all'Inferno", il cui autore è Tommaso Fiore. Egli fu allievo di Benedetto Croce, dal quale si separò allorché il latifondista napoletano, che proprio nelle terre daune aveva parte dei suoi latifondi, gli domandò: "Ma tu poi, in fondo, in questi cafoni cosa ci trovi?". Fu quella ingenua domanda di Benedetto Croce che fece comprendere nel Nostro come il suo Maestro non aveva più nulla da insegnare.
Fiore nacque ad Altamura, provincia di Bari, il 7 marzo 1884. Di famiglia operaia, fu indirizzato agli studi classici. All'Università divorava i saggi di Labriola su Marx che lo aiutarono ad interpretare, in termini socio-economici, la situazione dei "cafoni di Puglia" e finì, irrimediabilmente, per occuparsi delle condizioni del Mezzogiorno, ed in special modo dei contadini, il mondo a lui più vicino, e al riscatto dei quali dedicò l'intera sua vita. Le opere di Benedetto Croce gli fornirono invece il senso dell'operare storico. Fu per questo che, ritornato al suo paese dopo l'esperienza bellica, si impegnò a fianco dei suoi "cafoni" e divenne sindaco di Altamura nel 1920. Pagò un tributo alto al fascismo. L'antifascismo più radicale si organizzò attorno alla sua figura durante il ventennio. Questo costò a lui e a due dei suoi figli, Enzo e Vittore, l'arresto ed il confino. Caduto il fascismo, nel 1943 il figlio Graziano, da poco diciottenne. si mise alla testa dei dimostranti che andavano a liberare dal carcere i prigionieri politici. Tra essi c'era anche Tommaso Fiore. Il giovane figlio cadde sotto i colpi dei soldati di Roatta e di Badoglio che volevano impedire la sollevazione popolare. Fiore divenne poi collaboratore dell'Unità di Salvemini, ma si impegnò anche con "la Rivoluzione liberale" di Gobetti. E fu proprio su richiesta di quest'ultimo che scrisse le "Lettere Pugliesi", nelle quali descriveva l'operosita dei piccoli proprietari, braccianti agricoli giornalieri, contadini, fittavoli, paragonandoli a delle formiche. Come le formiche, lavorando instancabilmente, con sangue e sudore, hanno trasformato la fascia della costa pugliese, da un ammasso di sterili sassi in un rigoglioso giardino di mandorli, ulivi e viti. Ma vi è prima di tutto una minuziosa analisi del contrasto secolare tra i proprietari ed i contadini e braccianti. Ventisette anni dopo quelle lettere vennero ripubblicate sotto il titolo di "Un popolo di formiche" e gli valsero il premio Viareggio.
In questi scritti Tommaso Fiore si rivela anche un tenace federalista contro il centralismo statale e della riorganizzazione in chiave regionalistica dello Stato. Nel socialismo liberale Fiore vedeva lo strumento di azione più efficace per il raggiungimento del federalismo. Morì a Bari il 4 giugno 1973.
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