"Classe politica ed élites nel pensiero politico liberale"
Relazione di Stefano Parodi (*)
Società democratica e società aristocratica in Tocqueville dopo il 1850 (Roberto Giannetti, Università di Pisa).
In Tocqueville (1805-1859) è presente il concetto di élite; ci si concentra, in particolare, sulla definizione tocquevilliana di aristocrazia: un gruppo di individui legati non solo da interessi ma anche da gusti, da modi di pensare, da medesimi comportamenti.Un’altra importante osservazione riguarda il significato che il termine democrazia acquista in Tocqueville: non un sistema politico ma un sistema sociale, caratterizzato dalla mobilità sociale e, quindi, dalla mancanza di una vera e propria aristocrazia. In altre parole, una società aperta senza una rigida suddivisione in ordini e classi.Tuttavia, anche in democrazia esistono tre classi in cui il popolo può essere diviso (ma sempre in presenza della mobilità sociale): i ricchi, la classe media, i poveri.Tocqueville spesso è ricordato per la sua idea di una aristocrazia prodotta dal sistema industriale; forse è più significativo occuparsi di un particolare tipo di aristocrazia che Tocqueville individua in America: l’aristocrazia dei cosiddetti “leggisti”, cioè dei giudici e degli avvocati. Essi costituiscono un rango a parte, detengono competenze esclusive, sono, in altre parole, padroni di una scienza, quella giuridica appunto, fondamentalmente non diffusa, specialmente nell’ambito della Common Law, basata essenzialmente sui “precedenti.” Il discorso è diverso in presenza della legge codificata, che indubbiamente risulta essere più facilmente acquisibile. Ma una classe “aristocratica” di questo tipo è compatibile con un regime democratico? In Tocqueville sì, in quanto il giurista è un uomo del popolo (o, almeno, può esserlo) che entra a far parte di una classe superiore, di una “aristocrazia.”Sono importantissimi, a questo proposito, gli aspetti “educativi” di questo sistema: infatti, gli uomini di legge, acquisendo delle abitudini aristocratiche, bilanciano, in un certo senso, i vizi del governo popolare. Non va inoltre dimenticato che i giuristi si trovano in tutte le istituzioni, influenzando così tutti i settori della vita politica e sociale; ciò fornisce loro l’occasione di insegnare agli uomini del popolo le abitudini, i valori e il valore dell’aristocrazia giuridica: è il caso, ad esempio, delle Giurie Popolari, in cui le persone comuni entrano in diretto contatto con i giuristi.Questa funzione educatrice è tanto più importante se si considera che in una società democratica esiste uno spazio limitato per l’élite culturale. L’aspetto fondamentale della società americana è comunque la mobilità sociale.
Classe politica e ruolo delle élites in John Stuart Mill (Maria Teresa Pichetto, Università di Torino).
John Stuart Mill (1806-1873), nella sua analisi, riprende la distinzione tra epoche organiche ed epoche critiche; in qualsiasi momento storico il potere deve essere nelle mani delle persone più adatte (si veda, al proposito, Saint- Simon).Per Mill un buon governo non è quello di molti che governano ma quello in cui pochi governano per molti; non esistono divisioni nette in classi. Anzi, da questo punto di vista, egli critica gli economisti inglesi che considerano immutabile la divisione in classi (proprietari terrieri, lavoratori, ecc.). Mill considera preciso compito dell’economista quello di trovare il modo di innescare un mutamento; va ricordato il tentativo di Mill di organizzare un partito radicale negli anni 1836-1840, allo scopo di opporsi alla sottomissione ad un’autorità che ha come unico titolo la nascita o la fortuna.Esistono sostanzialmente due classi: quella privilegiata e quella insoddisfatta. Alla prima classe appartengono coloro che si ritengono soddisfatti perché i loro interessi non si trovano in mano ad altri (si tratta di quella che potremmo definire la classe dei governanti); alla seconda classe appartengono i commercianti e tutti gli altri che potenzialmente si possono alleare con i radicali per tutelare i propri interessi. È interessante notare che nel 1839 Mill usa il termine “ruling classes” (al plurale).Alla base della filosofia politica di Mill c’è una filosofia sociale: per comprendere la politica è necessario conoscere i fenomeni sociali; in altre parole, la politica è parte della scienza sociale.Per Mill, infatti, il governo è il prodotto di fattori non politici (economia, educazione, presenza di individui eccezionali, ecc.) tutti in qualche modo relativi alla forza sociale delle classi. Non dimentichiamo che all’epoca di Mill il potere stava passando alla borghesia per la sua forza economica. L’Inghilterra “industriale”era nata dalla fine del potere della aristocrazia terriera ( prima del Reform Bill del 1832 il potere veniva determinato dal possesso della ricchezza come nel Medio Evo). Tutto questo non deve però far pensare che Mill sia contrario all’esistenza delle persone ricche: egli semplicemente si oppone al monopolio o alla predominanza dell’aristocrazia sul potere politico.Alla base di questa opinione c’è la consapevolezza del fatto che gli uomini operino sempre nel loro interesse (i governi sono formati da uomini). Per questo l’aristocrazia cerca di strappare al popolo la maggior parte di ricchezza e di potere.Mill ritiene necessario studiare anche dal punto di vista della psicologia e di altre scienze sociali la tendenza alla ricerca dell’utile personale, tendenza che spinge gli uomini ad agire quasi esclusivamente per i loro interessi.Merita di essere ricordato l’interesse di Mill per la salvaguardia delle minoranze.
La classe politica in Ruggero Bonghi (Nicola Del Corno, Università Statale di Milano)
Ruggero Bonghi (1826-1895), letterato, professore di Greco, di Storia antica e moderna, di letteratura latina, dopo la prima guerra d’Indipendenza si trasferì da Napoli, sua città natale, a Firenze, quindi a Torino e a Stresa, presso Rosmini, con cui strinse profonda amicizia; attraverso Rosmini e Manzoni, conosciuto a Stresa, si legò culturalmente al gruppo liberale moderato lombardo, di cui condivise, oltre agli indirizzi politici e letterari, anche le tipiche preoccupazioni religiose e di riforma ecclesiastica. Deputato dal 1860 al 1892, salvo un breve intervallo nel 1865-1867, emerse come uno dei maggiori esponenti della Destra; fu relatore della legge delle Guarentigie del 1871, che molto accoglieva delle sue concezioni di politica ecclesiastica, continuò a mostrare largo interesse per i problemi del cattolicesimo italiano, auspicando la conciliazione tra Stato e Chiesa e l’apporto dei cattolici a un forte partito conservatore. Dal 1874 al 1876 ricoprì l’incarico di ministro dell’Istruzione Pubblica. Viene ricordato come un critico sottile e avvertito della vita politica italiana e della situazione internazionale.In Bonghi troviamo una concezione gerarchica della società e un richiamo alle proprie responsabilità; in Parlamento devono andare uomini capaci. Una delle sue principali preoccupazioni è quella di evitare l’esclusione della classe cavouriana, dei protagonisti, cioè, dell’unità d’Italia; Bonghi non apprezza la classe politica postunitaria, la accusa di demagogia.I politici devono in qualche modo educare il popolo: essi devono non solo essere ma anche sembrare onesti; si parla, in questo senso, di pedagoghi morali.Il modo di concepire la politica è quello di un liberale: per Bonghi, infatti, la classe politica si deve proporre, non imporre. Un altro aspetto importante del suo pensiero è l’individuazione di un duplice pericolo: gli incompetenti e i rivoluzionari. Per far fronte a questi due pericoli, Bonghi invoca una “complicità” interna alla classe politica, un fronte comune, al di là delle divisioni.Solo le classi colte (in questo si avverte l’influenza rosminiana) e le classi possidenti devono andare al potere; requisito fondamentale per chi fa politica è la possibilità di non vivere di politica, cioè il non aver bisogno della politica per vivere.Bonghi, quindi, non ha fiducia nelle classi popolari, che difendono interessi particolari.Il sistema inglese è considerato “giusto” perché non basato su divisioni ideologiche ma su questioni pratiche; inoltre all’interno di ciascun partito esistono varie tendenze, non tutto è o bianco o nero.In Inghilterra la classe politica fa sopravvivere i principi del vivere comune.
Classe politica stricto sensu e classe dirigente più estesa in Croce (Salvatore Cingari, Università di Firenze)
Croce (1866-1952) opera la distinzione tra concetto di classe dirigente in senso allargato e concetto di classe politica. Il grande filosofo si occupa, come i suoi contemporanei Mosca e Pareto, della questione delle élites: esse sono un luogo di mediazione dei conflitti della società. In Mosca, tutti i conflitti sociali vengono mediati nell’élite, intesa come “luogo virtuoso di mediazione”. Anche per Croce l’élite è un luogo di mediazione politica, in cui le masse possono gradualmente fare il loro ingresso; resta, comunque, l’impossibilità di superare la frattura, la disuguaglianza presente nella società.Mentre in Mosca la classe dirigente attua una mediazione basata su interessi, in Croce tale classe media attraverso una posizione morale.È riscontrabile un solo punto di contatto, a proposito del ruolo degli intellettuali, con la teoria gramsciana; per Gramsci, infatti, l’analisi della società è necessaria per trasformarla ed è questo il compito degli intellettuali; Croce, pur sostenendo che la trasformazione della società possa avvenire solo mediante la riflessione degli intellettuali, non ritiene, contrariamente alle teorie di Gramsci, che questi ultimi debbano essere organici alla politica, bensì estranei alla lotta politica.
Teoria della classe politica, ruolo dell’èlite culturale e opinione pubblica in Karl Popper dalla gestazione (1942) de La società aperta (Rita Baldi, Università di Genova)
Karl Raimund Popper è considerato uno dei più grandi filosofi (forse il più grande) del XX secolo. Fu un implacabile critico di tutte le forme di totalitarismo e fautore di una società aperta. Nacque a Himmelhof, nei pressi di Vienna, il 28 luglio 1902, da genitori ebrei. Morì a Kenley (Londra) nel settembre del 1996.
Popper contrappone alla “società chiusa” la “società aperta.” La società chiusa è una società totalitaria con norme impositive, la società aperta si fonda sull’uso critico della ragione, che attraverso le istituzioni democratiche difende la libertà dei singoli e dei gruppi (cfr. Mastellone e K. R. Popper, The Open Society and its Enemies, 2 voll. Routledge, Londra 1945 (trad. it. La società aperta e i suoi nemici, a cura di D. Antiseri, Armando, Roma 1997).Per Popper non è importante il governante ma il controllore del governante; il vero problema riguarda l’organizzazione e l’istituzionalizzazione del controllo. Anche gli uomini migliori vengono corrotti dal potere, quindi non servono buoni uomini ma buone istituzioni che permettano ai governati di controllare i governanti.Popper individua così l’essenza della democrazia: la democrazia è il controllo di chi governa.Un altro elemento fondamentale è la possibilità di critica e di discussione: il cittadino non deve mai rinunciare alle sue capacità razionali di critica.C’è nel filosofo austriaco una profonda sfiducia nei confronti degli intellettuali, che spesso si dimostrano dei falsi profeti.Un altro fondamento della democrazia è il momento elettorale, il momento in cui, cioè, il cittadino ha la possibilità di giudicare e punire i governanti.Anche il potere economico può essere controllato, e in questo caso è il potere politico che ha il compito di controllare: conseguentemente, la democrazia politica è l’unico mezzo di controllo del potere economico.La sfiducia negli intellettuali condiziona il giudizio di Popper sulle élite culturali, che definisce senza mezzi termini “cricche.” Anche in questo caso al centro di tutto troviamo il principio della controllabilità; infatti, l’élite sfugge a qualsiasi tipo di controllo e questo, si è visto, è assolutamente antidemocratico.Sempre sulla base dell’incontrollabilità Popper rifiuta la figura e, di conseguenza, il ruolo del saggio: chi è in grado di controllare il livello di saggezza di un uomo? Chi controlla che sia davvero saggio? Non è possibile rispondere a queste domande.Esiste comunque una ben precisa responsabilità che grava sulle spalle di coloro che hanno studiato: essi hanno l’obbligo, per Popper, di rendere conto all’opinione pubblica di quello che hanno imparato.
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