C'è tanta eco. E sponda. Si contano affinità ed analogie in un'area geografica vasta ed affollata che se non parla riesce comunque a far parlare di se stessa. E tutto questo, nel bene e nel male, oltre i luoghi comuni. Nel Sud si vive e si sopravvive. Del Sud si parla e si sparla. Sul Sud più di qualcuno ha creato la sua fortuna, a cominciare da una classe politica paladina dei propri filiani (e interessi) ed estranea, anzi, talvolta malvagia verso la propria terra. C'è chi ha scritto e chi scrive; chi ne ha fatto momento ed oggetto di poesia e chi si ingegna a farlo. Poesia ruvida e tagliente come pietra. Poesia sul filo della memoria, spesso prossima allo scontro. Poesia di sette dolori e di una qualche speranza. Poesia-denuncia di giustizia negata, di usi ed abusi. Poesia di amore sociale, come un credo.Ai "tre legati ereditari"del Sud (malaria, frane e terremoti, solo la malaria è stata debellata) si aggiungono la malaria politica e le sue complicazioni infettive. Ecco perché ci interessiamo di Sud e poesia. Ecco perché abbiamo voluto dedicare un convegno su Rocco Scotellaro a Nusco nella terra d'Irpinia, sede del Centro di Documentazione sulla poesia del Sud.Scotellaro, poeta della libertà contadina, è meritevole di un contributo a più voci e di diverso aspetto. E' quanto abbiamo voluto dare - auspice il prof. Paolo Saggese - insieme all'Amministrazione comunale, unitamente all'apporto di accademici e studiosi. Ma più di qualcosa con questa "pulce rossa" - il vezzo familiare con cui Rocco veniva chiamato - è condivisibile; in parte come eredità, per altra come scelta e testimonianza di vita. Un impegno civile che sul fronte meridionale trova Vittorio Bodini, Lorenzo Calogero, Franco Costabile, Libero de Libero, Leonardo Sinisgalli, Domenico Rea e Mario Trufelli. E su quello irpino Nicola Arminio, Antonio La Penna, Pasquale Martiniello, Giuseppe Saggese, Pasquale Stiso, Giuseppe Tedeschi. Anche chi scrive ritiene Scotellaro un modello di valenza poetica e politica, oltre la militanza e la tessera. Un manifesto lirico-sociale che si fa ancora apprezzare per lettura e rivelazione.Anzi con fierezza irpina, facciamo nostro l'assunto di Guido Dorso, ovvero "La rivelazione poetica" come "la più perspicua forma dell'intelligenza umana". Una verità rivelante a dispetto di Arcadia e di accademie. Una verità ed una poesia reale, ansi neorealista che, incuneandosi tra le crepe e le maglie sociali, rivela l'humus, radici e detriti.Per Scotellaro nucleo essenziale è la famiglia, altare domestico. A cominciare dal padre, campione di dignità e di resistenza, senza compromessi. "Mio padre misurava il piede destro/ vendeva le scarpe fatte da maestro/ nelle fiere piene di polvere,/ tagliava con la roncella/ la suola come il pane,/ una volta fece fuori le budella/ a un figlio di cane....E morì - come volle - di subito,/ senza fare la pace col mondo."Per continuare con la madre "Intenta ai corredi nuziali/ e rifinire le tomaie alte" - un rapporto privo di ogni conflitto - fatta segno di ogni attenzione e dolcezza: "Mamma, tu sola sei vera/ e non muori perché sei sicura" o ancora "Se mi prendete voglio volare/ su mia madre lontana formica". Qui ci sono orgoglio e compostezza. Riscontri che ritroviamo nei "Canti della memoria" di Martiniello e in "Madre del Sud" di Saggese.Dalla famiglia la poesia si trasferisce - ma resta un tutt'uno - alla casa, al paese. Orizzonte. Siepe ed infinito. Il paese "continua la sua storia/ "sotto il cielo stellato a foglia a foglia". Un rapporto ombelicale, dove corpo e spirito sono sfibrati dalla doppia faccia della gente, che rivendica con prepotenza il suo voler essere "padrone" "ed è geloso a morte dell'uguale". Con queste pretese chi va in frantumi è proprio il paese, oggetto per un tempo di fantasiose teorie sociologiche condensate in un ''familismo amorale" responsabile di incrostazioni e contesti incartapecoriti, sicuri ostacoli al progresso e alla civiltà.In Scotellaro non c'è malanimo. In un susseguirsi di immagini, dai forti richiami classici (Alceo, Quasimodo), c'è la conferma di un incarnato amore sociale. Soprattutto con i santi Padri contadini, a cui giunge l'esortazione: "Mettete il vino, beviamo stasera"; o ancora: "Beviamoci insieme una tazza colma di vino!/ che all'ilare tempo della sera/ s'acquieti il nostro vento disperato".Hanno una vivacità quasi esiodea, ma anche un moderato contenuto fescennino i versi: "E sto bevendo con gli zappatori/ non m'han messo il tabacco nel bicchiere,/ abbiamo insieme cantato/ le nenie afflitte del tempo passato/ col tamburello e la zampogna". In questa scena apparentemente oleografica si inserisce una matrice comune, riscontrabile nella tradizione delle feste contadine (in primo luogo quella del Carnevale, così cara anche a noi dell’Irpinia). In quel mondo statico e in subbuglio, in cui la campagna era ad un tempo Eden ed Inferno, la poetica di Scotellaro trova denunce e sogni da svelare. In fondo - scriveva Franco Compasso, tra i primi a credere nel legame poesia-Mezzogiorno - la poesia, quando non è il compiacimento individuale ed estetizzante di una visione, di un sogno, di un amore e cioè di un amore esterno e spesso astratto - è sempre una denuncia sociale, un impegno civile di lotta, un inno di protesta, una ricerca di libertà e di verità". E quindi un atto d'amore, in ogni senso.
Giuseppe Iuliano
Nessun commento:
Posta un commento