Moscati "Medico dei poveri" Ma innanzitutto "Medico povero"
Un frammento inedito di S. Giuseppe Moscati
Sebastiano Esposito s.j.
Sebastiano Esposito s.j.
Una singolare ricetta
Tra i frammenti autografi di Moscati, se ne conserva uno, abbastanza singolare. Singolare nella stesura, nel tono, nel genere letterario, persino nella grafia. Forse, proprio a questa sua "stranezza" va attribuito il fatto che esso sia rimasto finora - per quel che mi consta - sfortunatamente inedito.
Penso, in verità, che esso vada rimesso in luce, esaminato a fondo, perché - a mio parere - è uno scritto molto rivelatore della maturazione evangelica del Prof. Moscati, oltre ad essere un condensato di saggezza per tutti.
Il foglietto, con qualche slabbratura e un piccolo taglio in alto, misura cm 12,5 per 18. Più esattamente, bisogna parlare del rovescio di un foglietto che era servito originariamente come ricetta medica ad un collega del Santo (la firma di quest'ultimo è purtroppo indecifrabile). Nulla d'importante, eccetto un particolare, e cioè la data della prescrizione: "17-7-1926". Una data che ci permette di assegnare il testo vergato a tergo dal Moscati agli anni della sua piena maturità... Supponendo, infatti, che le parole di Moscati siano scritte nel medesimo giorno - il che non è molto probabile - ci troveremmo a meno di un anno dalla morte del Santo.
È vergato con inchiostro rosso (caso raro, ma non unico negli scritti di Moscati). Lo trascriviamo:
La migliore delle cure ricostituenti è quella di sposare "sorella povertà", facendo grandi elemosine, distribuendo tutto ai poveri, ai nostri ospedali e ritirandosi in una caverna, mangiando solo locuste e miele selvatico! G. Moscati
La frase, come si vede, enuncia un pensiero ben compiuto (1) e la falsariga che struttura il pensiero è, chiaramente, una ricetta medica. Piú esattamente, la prescrizione di una cura ricostituente, anzi della "migliore delle cure ricostituenti". Si tratta di un pensiero rivolto anche "a se stesso", ma indirizzato quasi certamente ad un altro, come testimonia la firma. Quest'altro, molto probabilmente, sarà stato un collega medico, o un "paziente" piuttosto benestante.
Moscati elenca gl'ingredienti di questa eccellente cura ricostituente. Il tono, più che scherzoso, può definirsi sorridente (ridentem dicere verum, quid vetat?). Moscati, infatti, non scherza, ma accompagna con un sorriso di grande umanità una cura che è sì "la migliore", ma non certo la più facile. Una cura che costa, che impegna, che crocifigge.
Le "medicine" sono attinte a due scuole, che fanno capo a due grandi Maestri, molto familiari a Moscati: Francesco d'Assisi e Giovanni il Battista (2) .
Da Francesco mutua la determinazione di "sposare sorella povertà". E, per far capire che non si tratta di figure retoriche, di immagini estetiche, o di semplici aspirazioni ideali, egli specifica, con precisione notarile: "facendo grandi elemosine, distribuendo tutto ai poveri". Uno spogliamento, quindi, non solo affettivo ma anche e soprattutto effettivo, secondo lo spirito e la lettera del Vangelo: "Vendete ciò che avete e datelo in elemosina" (3); o come dice Cristo al giovane ricco: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri" (4); o secondo la prassi della Chiesa primitiva: "quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno" (5).
A questo punto Moscati cita il comportamento dell'altro Maestro e modello: Giovanni il Battista. Cristo ha detto di lui: "tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista" (6).
Giovanni è, infatti, il prototipo del distacco dal mondo, della fuga saeculi, la sentinella e l'annunciatore del Regno di Dio che si avvicina. "II suo cibo erano locuste e miele selvatico" (7). Circa la "caverna", si tratta di una dimora classica dei grandi asceti cristiani (si pensi al Sacro Speco di Subiaco, o alla Verna) (8).
Ma non solo per questo distacco ascetico viene evocata dà Moscati la figura di Giovanni il Battista, in questo contesto. Da buon conoscitore della Scrittura, egli sapeva ché tanta parte del messaggio del Precursore verte sulla condivisione (oltre alla semplice spoliazione) dei beni terreni. Narra Luca: "Le folle lo interrogavano: "Che cosa dobbiamo fare?" Rispondeva: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto" (9).
"...ai nostri ospedali"
C'è però, nel testo di Moscati, un breve inciso - tre parole in tutto - che non è riconducibile né ai Fioretti né alla figura o alla predicazione del Battista, ma che rappresenta l'applicazione concreta, personalizzata di quegli insegnamenti. Un inciso, che ad una lettura frettolosa può anche passare inosservato. Moscati scrive e specifica: "distribuendo tutto ai poveri, ai nostri ospedali".
In queste poche parole si nasconde la matrice che struttura la biografia esterna ed interiore del Medico Santo. "I nostri ospedali" rappresentano, per chi conosce Moscati, molto più che un semplice luogo di lavoro, o il posto dove si esercita, anche se con onestà e competenza, una "professione".
Qui mi preme sottolineare che l'ospedale, per Moscati, non è soltanto uno spazio di sofferenza e di dolore. No: per Moscati l'ospedale è il luogo dove vivono e soffrono i poveri di Cristo, (i "poveri Cristi"), coloro, cioè, a cui bisogna dare tutto quel che si ha e quel che si è, se si vuole essere cristiani secondo il Vangelo, ad imitazione di Francesco o di Giovanni il Battista. L'ospedale è per Moscati il luogo dell'incontro con il povero, al quale non si dona soltanto un aiuto o una elemosina, ma col quale si condivide, in umile servizio e in continuo spogliamento, tutto quel che si possiede, per rendersi più simili a Cristo, che secondo la parola di Paolo, "da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (10)
A ben guardare, tutta la biografia di Moscati è l'esplicitazione di questa radicale condivisione con i poveri. Qui s'inserisce, e diventa evangelicamente comprensibile, la sua rinuncià ad una carriera accademica, che già nei primissimi anni si preannunciava sfolgorante, per un servizio più immediato e diretto in favore dei poveri negli ospedali. Nominato Primario della III Sala dell'Ospedale degli Incurabili, promette con energia:
"Procurerò, con l'aiuto di Dio, con le mie minime forze [...] di collaborare alla ricostituzione economica dei vecchi ospedali napoletani, tanto benemeriti della carità e della cultura, ed oggi tanto miseri" (11)
Sappiamo fino a che punto egli ha tenuto fede a questo impegno, per tutta la vita, non solo con il lavoro e l'entusiasmo contagioso del suo insegnamento, ma con interventi ripetuti, accorati, a volte polemici (ricordano un po' il tono del Battista) in favore degli ospedali, cioè dei poveri. E ciò sempre pagando di persona, materialmente e spiritualmente. A meno di un anno dalla morte, potrà scrivere alla Madre Provinciale delle Suore della Carità:
"Rev.ma, Madre, Ho con il cuore più che con la presenza, partecipato al giubilo per l'elevazione agli altari della B. Giovanna Antida Thouret, legata alla storia degli Ospedali di Napoli, a cui detti la mia giovinezza e quel poco che ho potuto" (12).
Qui si inserisce anche tutta la sterminata aneddotica della sua carità inesausta ed umanissima, piena d'inventiva e di sorridente pudore. Ma bisogna far attenzione. Questa aneddotica ci ha ingigantito, sì, la figura di Moscati "benefattore", ma a volte ha lasciato nell'ombra la figura reale ed eroica del Moscati povero.
Se non ci lasciamo ingannare da quel suo aspetto sorridente e signorile, ed esaminiamo da vicino il suo stile di vita reale, noi ci troviamo di fronte ad una condizione di vita quotidiana distinta da un ascetismo impressionante, per un uomo del suo rango e della sua notorietà. Quando si dà uno sguardo al suo letto, ai suoi mobili, al suo vestiario, alle note delle sue spese, si comprende fino a che punto egli abbia portato a compimento la povertà francescana ed evangelica, nonostante che la sorella Nina, austera sì ma teneramente sollecita della salute del fratello, si sforzasse di temperarne le asprezze (13)
"Io sono povero: ecco tutto"
Non basta parlare di Moscati soltanto come del "Medico dei poveri". Moscati è il Medico povero, al servizio di Cristo povero nel luogo dolente della povertà: l'ospedale.
Certo, del signore, anzi del gran signore, gli rimarrà sempre l'educazione, la cortesia, la cultura, il tratto affascinante, la consuetudine con uomini di alto rango. Ma la sua quotidiana discesa nel limbo dei poveri rimane la cifra e il suggello della sua santità eroica.
A conferma di queste considerazioni, vorrei riportare le parole di una lettera del Moscati, scritta poco più di un mese prima della morte, ad un giovane che a lui si era rivolto per ottenere sussidi pecuniari, facendone poi un uso piuttosto sconsiderato. È vero che si tratta di una lettera con un intento pedagogico, ed in genere è stata letta sempre in questa chiave, ma ci sono due o tre frasi sulla povertà del Medico dei poveri, che illustrano e confermano, meglio di qualsiasi commento, quello che abbiamo tentato di dire finora. Moscati scrive secco:
"Mio caro giovane, Ma che credi che io sia lo zio d 'America?! Io sono povero: ecco tutto. E i poveri non sono amati. Ma è bene che te lo dica, perché se da una parte finirai di farmi la corte, dall'altra non commetterai più sciocchezze! Quei pochi soldi che ho, debbo lasciarli ai pezzenti come me "(14 ).
Il grande Maestro non si vergogna di descrivere la sua condizione, adoperando i termini più aborriti dalla stragrande maggioranza degli uomini: "povero", "pezzente". Lo sposalizio con la Sorella Povertà non è più un sogno, o una prescrizione da praticare, ma una realtà già pienamente compiuta. Un mese dopo, quest'uomo potrà presentarsi, umile ma sereno, al cospetto di Cristo, il Signore fattosi povero.
"Io sono povero: ecco tutto": queste parole di Moscati fanno comprendere, secondo la testimonianza unanime dei suoi contemporanei, quanto modesto – per scelta – sia stato il tenore di tutta la sua vita. Ancor oggi, ce ne possiamo accorgere dando un'occhiata alla suppellettile della sua casa e del suo studio.
" II Servo di Dio - ha deposto un suo alunno, il Dott. Enrico Sica - fu amante della virtù della povertà. Egli, quantunque di famiglia ricca, fin dalla gioventù rifuggì dalle cose superflue. In seguito affermatosi nel campo professionale in maniera così brillante che avrebbe potuto guadagnare onestamente molte centinaia di migliaia di lire all'anno, volontariamente cercava di rifiutare quanto più compensi gli fosse possibile, convinto che la ricchezza era un grande ostacolo a condurre una vita di virtù. In molti episodi riferiti negli interrogatori precedenti ho avuto occasione di dare la dimostrazione di questa sua grande virtù, che gli faceva talvolta esclamare: "Com'è antipatico l'atto del compenso per l'opera professionale"
"Una ricetta per tutti"
Questa volontà inesausta di condivisione con i poveri non si arresta con la fine terrena di Moscati. Oltre ai miracoli di guarigione, Moscati, fattosi "povero" e "pezzente" per Cristo, sta suscitando un movimento continuo e crescente di evangelica condivisione nelle anime di tanti cristiani, che sotto il soffio dello Spirito, stendono la mano alle necessità dei propri fratelli, vicini o geograficamente lontani. (Si pensi ai Fioretti che Moscati, tramite l'aiuto di tanti cristiani, sta scrivendo nelle terre di missioni, a sollievo dei più poveri tra i poveri). È il miracolo della carità di Moscati, il Medico povero, il "pezzente" di Cristo, degno commilitone di Bartolo Longo e fratello maggiore di Giorgio La Pira.
Tornando al frammento inedito, alla "ricetta" spirituale, da cui siamo partiti, ci si può domandare a chi fosse indirizzata. Rispondo: non lo sappiamo. Di una sola cosa si può essere certi: è una ricetta valida per tutti quei cristiani che, come Francesco d'Assisi e Giuseppe Moscati, vogliono vitalmente immedesimarsi con Cristo crocifisso e risorto.
Note
1. Non si può escludere che esso facesse parte di una lettera più ampia, come potrebbe suggerire l'iniziale minuscola del periodo. Comunque, il periodo è, ripetiamo, completo in se stesso.
2. Oltre alle numerose testimonianze del suo spirito francescano (su qualcuna ritorneremo più avanti), fra i "santini" che Moscati portava nel suo portafogli, spiccano varie immaginette di San Francesco. Una di queste, stampata in inglese, reca a tergo alcuni detti preferiti del Santo d'Assisi. Significativamente per ciò che qui c'interessa, è segnata con una crocetta il detto: "Se tu avessi raggiunto il Creatore, non dovresti rimanere attaccato alle creature". Inoltre, di San Giovanni Battista, Moscati possedeva una statuetta bronzea di buona fattura.
3.Luca 12,33
4. Matteo 19,21
5. Atti, 4,34-35
6. Matteo 11,11
8. A quest'ultima si riferisce Moscati in una lettera, dalla quale traspare la sua ammirazione (ed assimilazione) dell'ideale francescano. Parlando del suo confessore P. Pio, fa notare: "Egli è un toscano, e viene dalla Serafica provincia della Verna, dai monti ove il Padre Francesco ebbe "l'ultimo sigillo" [Moscati cita Dante: "nel crudo sasso intra Tevero e Arno/da Cristo prese l'ultimo sigillo" (Parad., 11,106-107)]. Ed aggiunge: "Ogni notte, anche quando nevica, i Padri di quel Convento si recano in processione, salmodiando, al posto ove il Patriarca ebbe impresse le Sacre Stimmate; e si è osservato da secoli che anche i tiepidi s'infervorano, dimorando in quella sede". (Cfr. A. Marranzini, Giuseppe Moscati modello del laico cristiano di oggi, Roma, 1987, p. 324).
9. Luca 3,10-11.
10.2. Cor., 8,9.
11. A. Marranzini, Giuseppe Moscati modello..., p. 111.
12. Cfr. A. Marranzini, Op. Cit., p. 330.
13."Semplice nel costume, modesto nel tenore della vita privata, era un filantropo, disinteressato (...) ed i bisognosi soccorreva con denaro o affidava alla sua caritatevole sorella, signorina Anna, che tanto gli rassomigliava nel fisico e nel morale, vivendo come Lui, francescanamente, nella sua stessa casa". Così testimoniava un suo allievo (E. Polichetti, Giuseppe Moscati e la malattia mortale di Enrico Caruso, in La Riforma Medica, 70 [1956], p. 490).
14. A. Marranzini, op. cit., p. 226.
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